Tumore ai polmoni, cure e farmaci efficaci la sopravvivenza si prolunga
I progressi più rilevanti di questa edizione 2024 del congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), in corso a Chicago, riguardano il tumore al polmone. Molte ricerche, tra le quali due presentate nella sessione plenaria (quella riservata alle novità di maggio rilievo), indicano l’efficacia di diverse strategie nell’allungare la sopravvivenza dei pazienti che per decenni è stata ferma a pochissimi mesi. Ora, invece, si riesce a prolungare anche per alcuni anni in un numero crescente di casi: un traguardo che sembrava impensabile. «Finalmente vediamo migliorare l’aspettativa di vita per alcuni sottotipi di neoplasie polmonari che non avevano novità da 40 anni o per le quali a oggi ancora mancavano farmaci specifici – commenta Filippo de Marinis, direttore della Divisione di Oncologia toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Toracica -. O, ancora, riusciamo a fermare la progressione della malattia e a limitare le probabilità di una recidiva. Insomma, molti studi presentati ad Asco 2024 sono destinati a cambiare le attuali terapie standard».
I risultati positivi dello studio LAURA (di fase tre, l’ultima prima dell’approvazione di una nuova cura), pubblicati contemporaneamente sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine, mostrano che il farmaco osimertinib ha prodotto un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione di malattia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule di stadio III, non operabile, con mutazione del recettore del fattore di crescita epidermico EGFR (EGFRm) dopo chemio-radioterapia. I 216 partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno (143 pazienti) ha ricevuto osimertinib, l’altro (73 pazienti) un placebo. La sopravvivenza libera da progressione di malattia, ovvero il tempo che intercorre prima che il tumore ricominci a crescere, è risultata stata di 39 mesi nei pazienti trattati con osimertinib rispetto a 6 mesi con placebo. Inoltre, nel 74% dei partecipanti il tumore non era cresciuto dopo 12 mesi e nel 65% era ancora fermo dopo 24 mesi (rispetto al 22% e 13% del gruppo placebo). E ancora, il tasso di metastasi cerebrali è risultato molto inferiore con osimertinib (8% rispetto al 22% con placebo). «Sino dati molto significativi in pazienti per i quali non sono disponibili trattamenti mirati – spiega de Marinis -. Osimeritinib ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte dell’84%, un risultato senza precedenti, per cui dovrebbe diventare il nuovo standard di cura per questi pazienti. Inoltre parliamo di una cura comoda da assumere (in compresse) e con un’ottima tollerabilità: gli effetti collaterali più frequenti sono, nei primi mesi di trattamento, acne, diarrea e stanchezza cronica, ma nel complesso la qualità di vita è ottimale».
Sono 44mila le nuove diagnosi di cancro ai polmoni ogni anno nel nostro Paese: il carcinoma al polmone non a piccole cellule rappresenta circa l’80-85% di tutti i casi, quindi più o meno di 6mila persone ogni anno in Italia ricevono questa diagnosi.
«È fondamentale conoscere se e quali alterazioni genetiche sono presenti all’interno della neoplasia di ciascun paziente perché è proprio in base al cosiddetto “profilo molecolare” del tumore che possiamo scegliere le cure più efficaci caso per caso — ricorda Silvia Novello, presidente WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe), Ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Torino e responsabile Oncologia Polmonare all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano —. Già oggi circa un terzo dei tumori del polmone si può affrontare con un approccio nel contesto della medicina di precisione: ricercando cioè target molecolari per i quali sono stati sviluppati farmaci mirati». Un’opportunità importante per i pazienti, perché usare farmaci specifici ha portato a un’efficacia superiore dei trattamenti e a una migliore tollerabilità delle cure, garantendo lunghe aspettative di vita per una malattia che fino a 15 anni fa aveva una prognosi decisamente infausta.
Nella sessione plenaria di Asco sono stati presentati anche i risultati dello studio di fase tre ADRIATIC che ha arruolato 730 pazienti con carcinoma a piccole cellule di stadio limitato (o non metastatico). Il trattamento standard per questa forma di neoplasia non ha subito variazioni significative dagli anni Ottanta, ma in questa sperimentazione l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab dopo la tradizionale chemio-radioterapia ha allungato la sopravvivenza dei malati e limitato le probabilità di recidiva. I risultati indicano che la sopravvivenza libera da progressione di malattia è stata di circa 17 mesi per i pazienti trattati con durvalumab rispetto a 9 mesi con placebo. Inoltre, a due anni, la neoplasia non era avanzata nel 46% dei malati che avevano ricevuto l’immunoterapia con durvalumab rispetto al 34% del placebo. «Era da oltre 40 anni che non assistevamo a cambiamenti nello standard di cura del tumore del polmone a piccole cellule di stadio limitato – spiega de Marinis–. ADRIATIC è il primo studio a evidenziare progressi con l’aggiunta dell’immunoterapia dopo la tradizionale chemio-radioterapia in questi pazienti. I risultati rappresentano una svolta per questa malattia altamente aggressiva in cui i tassi di recidiva sono elevati, con solo il 15-30% dei pazienti vivo a cinque anni. Durvalumab ha già dimostrato un beneficio nella malattia di stadio esteso, ora sono importanti i progressi nello stadio limitato. Nello studio ADRIATIC, il 57% dei pazienti è vivo a tre anni. Durvalumab è la prima terapia sistemica, dopo decenni, a mostrare un miglioramento della sopravvivenza in questi pazienti e dovrebbe diventare un nuovo standard di cura in questo setting».
Ad Asco sono stati illustrati anche gli esiti dello studio di fase tre CROWN, che ha valutato l’utilizzo di lorlatinib (inibitore della tirosin-chinasi di terza generazione) rispetto a crizotinib (inibitore di prima generazione), in pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule in stadio avanzato con mutazione di ALK, non trattati in precedenza. Dopo cinque anni di follow-up, il 60% dei pazienti trattati con lorlatinib era vivo senza progressione della malattia rispetto all’8% nel braccio di trattamento con crizotinib, con una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte pari all’81%. Conclude de Marinis: «Pur considerando gli effetti tossici del nuovo farmaco, tra i quali aumento del colesterolo e dei trigliceridi, aumento del peso corporeo e disturbi cognitivi in circa un terzo dei malati), si tratta di un progresso importante che depone a favore del fatto che questo diventi il nuovo standard». corriere.it