Uccide i genitori e il fratello mentre dormono, arrestato 17enne
Li ha uccisi uno dopo l’altro. Prima Lorenzo, 12 anni compiuti il 17 agosto, che dormiva nel letto a fianco al suo. Massacrato con decine di coltellate: «Ci pensavo da un po’», confesserà. Poi la madre Daniela A., 48 anni. Lei sente i rumori dalla camera a fianco, si alza nel buio, attraversa il piccolo corridoio e come entra in stanza viene colpita senza scampo. Infine papà Fabio C., 51 anni festeggiati proprio sabato sera. Sente le urla e si precipita per capire cosa stia succedendo. Si trova davanti suo figlio già sporco di sangue e il coltello in pugno: è alto un metro e 85, ma non ha nemmeno il tempo di scappare. Viene ucciso sulla soglia della porta. Poi Riccardo chiama il 112. Sono le due di notte. Dice che papà ha ammazzato suo fratello e la mamma. Racconta che lui ha preso il coltello da terra e l’ha colpito, che l’ha ucciso. L’operatore del 112 lo tiene al telefono, gli dice di uscire subito di casa per aspettare i soccorsi in strada. I carabinieri di Paderno Dugnano, una manciata di chilometri a nord di Milano, lo trovano davanti al cancelletto del civico 33 di via Anzio. Riccardo è in piedi, pieno di sangue. In mano ha ancora il coltello. Cinquanta metri più in fondo, sulla destra, la villetta del massacro quasi non si vede. Muoiono tutti nella cameretta di due figli adolescenti uguale a migliaia di altre. In una famiglia «da Mulino bianco». Una villetta con i mattoni anticati, la siepe nel giardino, il verde curato. Una casa che aveva tirato su proprio l’impresa di papà Fabio e della sua famiglia, storici costruttori della Brianza. Avevano deciso di vivere tutti insieme, in tre ville, le più belle, una a fianco all’altra: i nonni e i due fratelli con le loro famiglie. La sera prima, giorno del compleanno di papà Fabio, erano insieme con zii e nonni «Una festa come sempre, una famiglia unita». Riccardo, che compirà 18 anni tra poche settimane, era un po’ taciturno ma non più del solito, senza dare nessun segnale di malessere. Come non ne aveva mai dati prima di compiere la strage. Nessuna segnalazione ai servizi sociali, nessun rilievo di professori, amici, familiari. E soprattutto nessun brutto giro. Ma la vita di un adolescente drammaticamente come tanti: il debito in matematica, le vacanze insieme agli amici. Unica anomalia — visti i tempi — una certa timidezza verso l’uso dei social. «Un bravo ragazzo, non può essere mica stato lui», ripetono i vicini che domenica mattina riempiono il parchetto davanti a casa. Riccardo è già in caserma. «Catatonico», parla poco. Con i carabinieri prova a ricostruire: «Papà li ha uccisi, poi ha lasciato il coltello sul pavimento. Io l’ho preso e l’ho colpito». Dice di non essere stato aggredito e sul corpo non ha segni di difesa. La sua versione si spegne quando è ormai giorno. I carabinieri del Reparto operativo di Milano, guidati dal colonnello Antonio Coppola, lavorano per ore su allarmi e telecamere per escludere, oltre ogni dubbio, la presenza di estranei nella villetta. Ma è un’ipotesi a cui nessuno crede veramente. Alle due di pomeriggio il 17enne ormai formalmente indagato per omicidio si confida con il legale d’ufficio e crolla: «Sono stato io». Racconta la sequenza dell’orrore, dice di aver colpito per primo il fratello Lorenzo, poi i genitori. «Non c’è un perché. Mi sentivo un corpo estraneo in famiglia, con gli amici. Ero oppresso, mi sentivo solo in mezzo agli altri». corriere.it