Veroli, abbiamo chiesto di intitolare una piazza ai Martiri delle Foibe ma nessuno risponde
di Marco Bussagli
A volte, la faziosità non ha limiti. Non si ferma davanti a nulla per affermare il preconcetto di giustizia di cui si nutre la sua piega mentale.
Ci sono voluti poco meno di sessant’anni perché, in Italia, fossero riconosciute le tragedie (perché si tratta di migliaia di vittime uccise in modo atroce) delle foibe che sfruttavano la particolarità del terreno nella zona di confine fra l’Istria, la Dalmazia, la Croazia e il Friuli Venezia Giulia.
Qui, infatti, profondi anfratti naturali, dovuti al territorio carsico, si prestavano ad essere perfetti nascondigli dove occultare le vittime delle razzie e delle rappresaglie della nascente Jugoslavia che, sotto la guida di Tito, fra il 1943 e il 1945 (ma per la verità fino al 1950), voleva spazzare via il ricordo degli insediamenti italiani. Così, ad essere colpiti, furono cittadini comuni, carabinieri, ufficiali, impiegati delle poste o degli altri uffici, intere famiglie che – una volta arrestati – venivano gettati nelle profonde cavità di quella terra tormentata.
La tecnica utilizzata, per risparmiare proiettili, consisteva nell’allineare le vittime sul bordo delle foibe, legarle l’un l’altra con il fil di ferro, e uccidere uno o due soltanto del tragico drappello, i quali, cadendo si trascinavano dietro, vivi, gli altri malcapitati. Così, alla componente politica si aggiungeva quella razzista perché bastava essere Italiani per rappresentare il nemico da eliminare.
Tutto questo è stato negato per decenni e solo le ricerche degli storici e degli speleologi hanno fatto riaffiorare questo dramma, la cui entità è ancora da determinare esattamente (come se un numero più o meno basso potesse mitigare questo orrore), ma che si aggira fra le 6000 e le 10.000 persone assassinate in un modo o nell’altro.
Così, nel 2004, dopo la presa di posizione da parte di alcune delle alte cariche dello Stato, l’Italia ha iniziato a far pace con se stessa e ha individuato il 10 febbraio (in ricordo della firma del trattato di pace del 1947) come “Giorno del ricordo” che, tuttavia, trova ancora difficoltà ad essere degnamente celebrato dappertutto.
Sarà allora il caso di ricordare che, nel nostro Comune, chi scrive, insieme al consigliere Cristiano Papetti, hanno da tempo avanzato richiesta (con tanto di pec) perché venga intitolata una strada, una piazza o comunque un’area del paese al ricordo di questa tragedia. Non si è mai avuta risposta.
Riflettere su questi aspetti porterebbe troppo lontano e rischierebbe di strumentalizzare una somma ingiustizia, mancando di rispetto a tutte quelle vite spezzate senza un perché, se non la cieca malvagità degli uomini.
Ricordare le foibe, infatti, al di là del doveroso omaggio alle vittime, serve a dirci che nessuna parte politica può ergersi ad esempio dell’altra e che il vero nemico è, prima di tutto, la componente bestiale di ciascuno di noi, nei confronti della quale dobbiamo combattere senza tregua, non per un mondo migliore, ma per la sopravvivenza stessa del genere umano.