Veroli ai tempi della sifilide
di Alfredo Gabriele
I concittadini suoi di Veroli soffrono per le dimenticanze nei riguardi dell’Umanista di Veroli, Aonio Paleario, per il quale la sua Patria non ha ancora un Monumento e per il quale la qualifica perpetuatasi di “Eretico” e la conseguente condanna a morte ha oscurato tanti suoi diversi meriti.
Egli fu innanzitutto un Precettore e Maestro, per la sua famiglia e dopo per altri. Quando venne a Veroli il prof. Caponetto a presentare un suo libro, su Aonio Paleario e sulla Controriforma in Italia, ricordava ai concittadini dell’umanista che le lettere di commiato, scritte per i figli, erano un documento esemplare di civiltà e auspicava che, all’inizio di ogni anno scolastico, in Veroli, nelle pubbliche Scuole si leggessero quegli ultimi saluti di un condannato a morte. Se questo non si è mai pensato di realizzare, c’è dell’altro per la sua Veroli.
Il prof. Caponetto scopriva in quegli anni un manoscritto nella Biblioteca laurenziana, forse preparato in previsione di una stampa, poi mai verificatasi, ma noto fin dal 1668. Questo manoscritto, che aveva il titolo “Dell’Economia o vero del Governo della casa”, andrebbe anche oggi letto, se non dai Verolani, almeno dalle donne Verolane, se volessero trovare un’occasione per avvicinarsi al loro antenato umanista, difensore dei diritti e della dignità delle oneste e coniugate madri di famiglia, fino al diritto ad un divorzio allora impensabile.
La lettura di questa operetta del Paleario, se fosse oggi riletta, farebbe anche luce su alcuni ricordi della sua infanzia vissuta a Veroli, dove in quegli anni, i primi del Cinquecento, aveva sostato Carlo VIII, diretto alla volta di Napoli, prima degli scontri delle sue truppe con quelle avversarie di Napoli. Da allora si diffuse in Europa la prima epidemia di Lue (Sifilide) che uno schieramento di storici volle chiamare “Mal Francese” e l’altro “Male Napoletano”.
Il Paleario in Veroli vide da fanciullo i primi volti umani devastati dal nuovo contagio, ma non si schierò poi per l’attribuzione dell’epidemia ad uno o ad un altro esercito; osservò invece che in seno alle famiglie i guai per le donne sposate derivavano dalle avventure extraconiugali dei loro mariti, allora titolari quasi di una libertà sessuale, vietata questa a loro, destinatarie però di un contagio domestico.
In questa circostanza il Paleario sostenne la necessità ed il diritto ad un divorzio da parte della consorte perché “adiviene adunque molte fiate, che le gentili donne sono maritate a questi meschini, de’ quali veggendo la cattiva e pessima vita, né potendo schifare il conversare con loro, prima che se ne avegiano, sono costrette a infermare del medesimo male, e portare la pena del peccato de li scelerati mariti”.
Il Paleario di Veroli precursore e sostenitore del divorzio è un aspetto della sua personalità che oggi torna di attualità, anche e soprattutto affinché le sue “femministe” concittadine possano sottrargli il marchio di “eretico” e ricordarlo come “buon padre di famiglia e difensore delle oneste spose” fino al divorzio.