Veroli, caccia al brigante Cerelli
di Alfredo Gabriele
Fiumi di inchiostro sono stati versati ed ancora si versano per pubblicare ancora qualcosa sul Brigantaggio preunitario nel territorio ciociaro. Tutto ormai sappiamo ed è stato estratto dalle cospicue giacenze nei grandi Archivi di Frosinone e di Roma: si rischia ora, se non si leggono prima le pubblicazioni già stampate, di pubblicare nuovamente quanto già letto e stampato in precedenza. Crediamo di non essere caduti in questa leggerezza andando noi, per così dire, più in periferia: nell’Archivio storico del Comune di Veroli ed in qualche archivio privato. Il tema non cambia ed in particolare si tratta cioè del Brigantaggio dei primi anni dell’Ottocento (negli anni della Restaurazione) ma non si rischia di pubblicare vicende già note e date alle stampe da altri.
Nel Registro di minute o copie di una Corrispondenza con la Direzione di Polizia di Frosinone e di altre Autorità centrali si legge prima un accorato lamento inviato al Segretario di Stato per i provvedimenti di tassazione a carico del Comune in rapporto al numero dei Briganti in azione e non ancora catturati: come se i cittadini fossero complici della loro latitanza. Ma le mitissime pene degli arrestati e condannati tornati presto in libertà era l’argomento contrario sostenuto dagli amministratori locali:
“Ecc.mo Principe Francesco Cerelli compagno d’iniquità dell’estinto Capobanda Tommaso Pagliaroli, condannato a una mitissima pena, è sciolto dai ferri ed appena tornato in questa terra anima Salvatore Pagliaroli a vendicare il fratello Tommaso ed associano ai loro delitti un altro Pagliaroli di nome Agostino. In meno di 15 giorni due padri di famiglia sono da essi barbaramente trucidati ed un terzo è condotto alla montagna, ove han richiamato una banda di 20 e più malviventi che spargono il terrore nel nostro popolato contado e minacciano a tutti i buoni rapine e morte. In tanta desolazione questo popolo si perde di coraggio, prende le armi, seconda con energia l’opera dei Militari ed è riuscito a strappar dalle mani di questi assassini sulle montagne quell’infelice che vi avevano per la seconda volta condotto ed al quale dimandavano somme immense o sangue. Eppure ad onta di tutto questo la legge ci condanna (rif.to all’editto del 20 agosto 1817 art. 14).
Se la fortuna non sempre monta il nostro zelo …Se un membro pernicioso come è il Cerelli recupera la libertà e torna in un baleno a riorganizzare il Brigantaggio in queste contrade agli immensi danni che ci arreca si aggiungerà quello di una gravissima contribuzione?… Ma in attesa di una risposta in merito non cessò la caccia al bandito ed appena un giorno dopo parte per Frosinone la clamorosa notizia: “…In questo punto e siamo alle ore 17 ritornò dalle montagne la Colonna Mobile composta da soldati di Linea e Cacciatori, questa mattina essendosi battuti con i contumaci nella contrada detta delle Pratelle è rimasto ucciso Francesco Cerelli la cui testa è stata trasportata in questa Città e tra poco sarà costà rimessa (a Frosinone)…”.
La gioia per il successo durava però appena un giorno se, dopo l’invio della testa dell’ucciso, partì per Frosinone l’altra notizia: “…Con poco rincrescimento debbo assicurare l’Ecc.za Vostra che la testa dell’ucciso dalla Colonna Mobile sulle Montagne non è del malvivente Francesco Cerelli… bensì del giovane Valentino D’Amico di questa città, che disgraziatamente questa mattina è stato preso tra i contumaci”.
Francesco Cerelli si salvò dunque per un errore di bersaglio da parte dei gendarmi, ma per questo evento spiacevole, non ci furono né inchieste né recriminazioni, in quanto anche il D’Amico era un fuggiasco, bandito tra i banditi, e si poteva tranquillamente ucciderlo, anche se ciò avvenne per errore. La vicenda finì perciò certamente ignorata e dimenticata in seguito, né venne riportata nei carteggi esistenti nei volumi sul Brigantaggio esistenti a Frosinone od a Roma.
Francesco Cerelli sopravvisse così grazie a questo tragico errore delle truppe armate che erano andati alla sua caccia e … visse felice e contento grazie all’amico D’Amico, ucciso al suo posto! Quest’ultimo era stato componente e complice nella banda capeggiata da Tommaso Pagliaroli alias Pellecchia, già ucciso nel 1817 con precisione da un colpo d’arma da fuoco sparatogli da vicino da un altro giovane bandito fuggiasco: Carmine Velocci.
Si era nel 1817 ed il Commissario straordinario alle strade G. B. Franchi ideò l’operazione attraverso la collaborazione dei familiari del giovane Velocci, in gran segreto. Il Pagliaroli-Pellecchia fu ucciso all’avvicinarsi dei gendarmi che erano sulle sue tracce: ad un segnale convenuto, il Velocci sparò ed uccise il suo capo ma tutto apparve come operazione della gendarmeria. Il Velocci assecondò il piano del Commissario Franchi ma pretese la segretezza e l’impunità: e fu accontentato, per evitare vendette e rappresaglie successive contro di lui ed i suoi familiari.
Fu anche premiato con la successiva assunzione alle dipendenze dell’Arma dei Bersaglieri come si scrisse da Veroli alla Direzione di Polizia: “…31 Ottobre 1820… In risposta… debbo assicurarla che in questa Città non esiste altro Malvivente amnistiato che Carmine Velocci… Il quale uccise il Malvivente Tommaso Pagliaroli alias Pellecchia. Il Velocci dopo essere stato dal Governatore annoverato tra il numero dei Bersaglieri ha dimostrato in qualche circostanza attaccamento al Governo da cui riceve il mensile soldo… etc”.