Veroli, da un lato lo strapiombo dall’altro quasi 2 km di fortificazioni ecco le mura poligonali

di Deborah Panichi

Lo studio delle fortificazioni delle città antiche è stato a lungo trascurato perché necropoli, santuari, templi ed altre vestigia richiamano di più l’interesse e la curiosità in confronto ai ruderi delle mura. Le fortificazioni antiche fanno parte del nostro paesaggio urbano: ci passiamo accanto senza neanche notarle, attraversiamo le loro porte con le nostre automobili e, in alcuni contesti, le case moderne vi sono costruite sopra o nelle immediate adiacenze.
Oggi c’è un’inversione di tendenza che ha portato ad uno studio sistematico delle grandi mura delle città laziali e ad un approfondimento delle tecniche costruttive. A livello cronologico non è semplice riuscire a dare una datazione precisa alle tante fortificazioni che si innalzano nel territorio laziale e che sono appartenute alle città latine, alle erniche e alle volsce.
Tra il Settecento e l’Ottocento le mura richiamavano l’attenzione dei giovani aristocratici che facevano lunghi viaggi di formazion, e che si cimentavano a studiarli e a disegnarli, oggi le loro riproduzioni sono molto utili per lo studio dei monumenti, specie nei contesti che hanno subìto recenti distruzioni. Studiosi come Petit-Radel giungono nelle terre del sud laziale per studiare le mura di Alatri, Ferentino ed Arpino e la studiosa Marianna Candidi Dionigi, nell’Ottocento, pubblicò un lavoro chiamato “Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno” che includeva anche una raccolta di disegni e note di Ferentino, Atina, Alatri, Arpino e Anagni; la studiosa, assieme ad altri come Izar Middleton e Edward Downell, erano persuasi circa l’origine peslagica delle fortificazione; mura come quelle laziali sono tipiche della Grecia (ma anche di altre parti del globo): nel VI secolo a.C. il Mediterraneo era un cuore pulsante di scambi, non solo commerciale ma anche di maestranze artigiane e così molte tecniche possono essersi propagate, attraverso un processo osmotico.
Le mura laziali sono chiamate comunemente ciclopiche per la loro grandezza ed impotenza, in tal modo ci si intendeva riferire ad una loro mitica costruzione operata dai Ciclopi; in realtà sarebbe più corretto chiamarle mura poligonali per la tecnica di costruzione che prevedeva la messa in opera di blocchi di pietra senza l’uso di leganti.
La conformazione del territorio del frusinate, ricco di calcare, è pieno di alture che permettevano un ottimo controllo delle zone circostanti e delle vie di scambio così l’uomo ha plasmato i paesaggi secondo le sue esigenze costruendovi mura che servivano da protezione territoriale, soprattutto suoi versanti non naturalmente protetti.
In provincia di Frosinone c’è una quantità altissima di mura, oltre alle già menzionate, possiamo annoverare anche quelle di Sora e Veroli. Come accennato non è facile poter datare le mura, è probabile che quelle di Veroli ed Arpino siano state edificate intorno al IV secolo a.C. dopo che le città entrarono nella sfera romana; iscrizioni presenti ad Alatri, Arpino e Ferentino lasciano pensare che, probabilmente, tra il II e il I secolo a.C. ci siano stati degli importanti interventi di restauro urbano che abbiamo interessato anche le fortificazioni con ampliamenti e aggiunte.
Ma veniamo ad una breve descrizione delle mura con riferimento al periodo antico. Iniziamo con quelle di città di Verulae: la città possiede monumentali mura in opera poligonale anche se oggi le antiche sono rimaste solo in parte, nel loro insieme regalano al contesto urbano un fascino senza tempo.
La città è posta internamente nel territorio frusinate era infatti la più vicina al confine con i Volsci, è una fondazione antichissima, non si ribellò a Roma nel 306 a.C. rimanendole fedele e mantenendo così la propria autonomia fino a quando divenne municipio dopo la guerra sociale. Il recinto fortificazione è stato edificato solo nel lato est poiché sul lato occidentale la città è naturalmente protetta da uno strapiombo, la loro lunghezza complessiva si aggirava intorno al kilometro e trecento metri, con una altezza di circa sei metri e una profondità di un metro.
Le mura che circondavano la città erano per lo più in poligonale di I maniera con grossi blocchi solo poco sbozzati; le mura verulane presentano un unicum tra quelle della zona infatti una loro parte è stata edificata in opera reticolata, ovvero con blocchetti di pietra disposti a 45 gradi, rifacimento del I secolo a.C. che oggi appare per lo più inglobato nella struttura muraria medioevale.
Oggi le mura si fondono in più punti con quelle medioevali, momento in cui vennero innalzate, ulteriormente fortificate con torrioni, venne edificato il Bastione San Leucio e furono anche rifatte le Porte. Sulle mura si aprono, ancora oggi, piccole porticine di servizio, chiamate posterule che, come la Porta Maggiore di Alatri, sono sormontate da un architrave monolitico.
Anche a Veroli, come ad Alatri, ruotano più leggende attorno alla costruzione della cinta muraria: per alcuni vennero edificate dai Ciclopi, per altri dai discendenti del dio Saturno che, giunto nel sud del Lazio, insegnò alle popolazioni locali il modo di costruire possenti mura; infine c’è anche una leggenda che vede nel Diavolo in persona il costruttore della fortificazione e si pensa che sotto le pesanti pietre ci siano magnifici tesori. Quale che sia l’origine, vera o mitica delle mura, esse si ergono ancora possenti: sono state silenziose testimoni della storia, tante vite sono passate davanti ad esse e vi passano tuttora, a volte senza neanche dar loro la giusta importanza.