Veroli, duecento persone nelle grinfie di 4 caporali ecco i documenti
di Alfredo Gabriele
Gli episodi di oggi relativi al “caporalato” nei lavori agricoli non facciano dimenticare gli episodi simili del passato. Ci riferiamo a quanto si verificava a Veroli intorno al Settecento. In quegli anni nel centro urbano della città ernica operava alla luce del sole un “caporale”, che arruolava un manipolo di poveri braccianti viventi in povertà nel territorio rurale circostante.
Questi poveri contadini venivano portati sotto il suo comando a compiere lavori agricoli in territori lontani da Veroli, a Sermoneta oppure nei pressi di Velletri o in altre località della Campagna romana. Tutto avveniva alla luce del sole e veniva preceduto da un regolare contratto stilato da un notaio del luogo.
Negli archivi storici locali sono tuttora presenti almeno sette documenti redatti intorno al 700, nei quali ricorrono due “caporali” di Veroli (un certo Fiorini ed un certo Mizzoni) i quali si presentano più volte ad un notaio per redigere un atto.
Per esempio, nell’atto del 700 appareroli un Bernardino Auretti del fu Pietro di Sermoneta a nome di Gaetani Duca di Sermoneta che incontrava un Pietro Mizzoni figlio di Giovanni Angelo di Veroli, il quale prometteva di caparrare duecento uomini al taglio del grano, con un caporale ogni cinquanta unità lavorative. Altri contratti simili si ritrovano in atti del 1698 del 1728-29 e 1733.
Il caporale verolano, sempre con questo appellativo, redigeva l’atto da esibire al proprietario delle coltivazioni per assicurare la presenza di quelle unità lavorative. Per queste indicava ed assicurava l’alimentazione giornaliera (Pane vino e salumi) senza altro riferimento ad un salario in moneta. Lo stesso “caporale” era certamente colui che percepiva dal padrone la moneta sonante, della quale non esiste alcun riferimento nell’atto notarile.