Veroli, la Pantasema sui tubi dell’Arnara nell’estate del ’68 poi tutti al frantoio di Cicci
di Marco Bussagli
Questa volta sono arrivato in ritardo… perché nella mia testolina di ragazzino “verolano” mai del tutto cresciuto, la festa si sarebbe dovuta tenere il giorno prima del rientro a Scuola o addirittura la sera di quella fatidica giornata. Invece, “la Pantasema”, quest’anno (o forse da qualche anno), si celebra la domenica prima, sulla scorta del tentativo di un’accorta gestione turistico-manageriale della festa che gli studenti del territorio di Veroli celebrano, da decenni, per dare l’addio all’estate e alle sospirate vacanze. Vale allora la pena parlarne a cerimonia ultimata? La risposta è sì perché “La Pantasema” è ben più di una festa stagionale, ma quasi una metafora della vita a cui hanno partecipato, ciascuno per la propria quota parte di gioventù, generazioni di verolani, incluso il sottoscritto e l’editore di questo blasonato giornale digitale.
Inoltre, forse, non tutti ne conoscono la storia. La prima uscita ufficiale de “La Pantasema” risale al 30 settembre 1968 ed è addirittura documentata da un trafiletto de “Il Messaggero” del 4 ottobre di quell’anno, accompagnato da una grande foto, scattata dal Cavalier Mario Caperna che, per decenni, è stato il fotografo di tutta Veroli. Qui sono immortalati alcuni dei fondatori di questa festa, da Antonio Patrizi, detto “Cicci” (poi diventato medico anestesista), a Luigi Ricciardi, detto “Giggino” (poi divenuto docente di Lettere), a Igino Mazzoleni, Enrico Macciocchi, Tullio Novelli (poi docente di Lettere), Giorgio Mauti (poi docente di Inglese), Mario Fiorini (futuro veterinario) e poi quelli che sarebbero stati della seconda generazione, ma che allora erano piccoli, come Giuseppe Gennaro (poi giornalista RAI), Giacomo Arci (poi stimato ginecologo) e tanti altri.
Non fu però questo l’inizio della Pantasema. L’anno precedente, un gruppo di bontemponi come Enrico Macciocchi, Giancarlo Gennaro, lo stesso “Giggino”, “Cicci” e ragazze come Marina e Giulia Mazzoleni, ebbero la bella idea di vestirsi di nero, recuperare una bara, e inscenare un funerale per protestare contro la fine delle vacanze e l’inizio della scuola, sebbene molti di loro già frequentassero l’ultimo anno del Liceo. Stamparono addirittura dei manifesti funebri. Il corteo provocò scandalo e critiche, ma l’idea era ormai stata lanciata e l’anno successivo si decise di dar vita a “La Pantasema” che recuperava gli antichi riti rurali delle feste di fine estate. Come per le “pantaseme” fatte di sterpi, si costruiva un enorme pupazzo di cartapesta (o quasi) che alla fine della processione veniva bruciato in piazza. Poi tutti “al frantoio”, da “Cicci” per ballare, cantare e far bisboccia fino a notte tarda, ma senza disturbare nessuno. Divertimenti ingenui e pieni di voglia di vivere, quasi un rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta che ai Verolani piacque così tanto da divenire una festa ricorrente; buona per tutte le età dai bambini delle elementari fino agli anziani che, in quell’occasione, ringiovanivano anche loro. Infatti, il celebre manifesto, scritto in latino maccheronico da quel funambolo della lingua (italiana e latina) che era “Cicci”, così recitava: Juventus Verulana tota, magna cum Pantasema, partecipat, dolore affecta, ludum de morte estatis, et omnes studentes clamat ad partecipandum in funeream processionem, quae per nostram urbem, in die trentesimo septembris, ad occasum solis currebit. Ossia: «Tutta la gioventù verolana, insieme alla grande Pantasema, annuncia, colpita dal dolore, la festa della morte dell’estate e invita tutti gli studenti a partecipare alla funerea processione che percorrerà la nostra città al tramonto nel trentesimo giorno di settembre.». Già… perché allora si andava a Scuola il 1° ottobre e il mondo era decisamente migliore…
Veroli, il primo libro che racconta la storia della Pantasema – Area C (area-c.it)