Veroli, pensionato ricoverato in clinica violenta 3 donne ecco il racconto delle infermiere

Si spostava nella clinica con una sedia a rotelle; poi, quando vedeva che poteva agire indisturbato, avvicinava le sue vittime, tutte incapaci di reagire. Approcci sessuali più o meno spinti per i quali un pensionato di 63 anni di Frosinone è stato condannato a 3 anni e 3 mesi (il pm aveva invece chiesto 6 anni e mezzo). Gli episodi di violenza sessuale risalgono al 2021, quando l’uomo, a seguito di un aneurisma cerebrale, venne ricoverato presso la clinica “Città Bianca” di Veroli, per la riabilitazione. Le sue condizioni, con il passar dei giorni, sono lentamente migliorate al punto che iniziò a spostarsi con la sua sedia a rotelle. Prendeva l’ascensore per scendere al piano bar, poi si spostava nel reparto delle donne e, con atteggiamento galante, non nascondeva le sue attenzioni verso le donne. Sembrava, dunque, un paziente “innocuo” e invece ha violentato tre donne, dai 40 ai 50 anni, tutte nell’incapacità di difendersi: una semiparalizzata a seguito di ictus, una affetta da sindrome di down e un’altra da sclerosi multipla. L’uomo, quindi, sapeva bene che le vittime non erano nelle condizioni di potersi ribellare. Da qui l’aggravante di aver abusato della loro condizione di inferiorità. Sono stati gli stessi sanitari della clinica, accortisi di quanto stava accadendo, a denunciare questi episodi ai carabinieri. In Tribunale, ieri, le infermiere hanno raccontato quanto hanno visto: infilava le mani sotto le lenzuola; le toccava nelle parti intime; avvicinava il suo membro alle donne.
Il caso è esploso in piena pandemia, quando nella clinica erano vietate le visite dei familiari. Una delle vittime, però, si era confidata con il suo curatore speciale raccontando che l’uomo era entrato, senza farsi vedere da nessuno, nella sua stanza per violentarla. Immediatamente sono stati disposti controlli più serrati da parte della clinica fino alla segnalazione ai carabinieri. Episodi che per la difesa, rappresentata dall’avvocato Giulia Giacinti, erano i segnali di un disturbo psichiatrico. Ma il Tribunale ha respinto la richiesta di perizia acquisendo, invece, la cartella clinica dalla quale era evidente che l’imputato era capace di intendere e volere.
Le vittime (alle quali è stata riconosciuta una provvisionale di 5 mila euro) sono state assistite dall’avvocato Giovanna Liburdi mentre l’associazione «Insieme per Marianna» era rappresentata dall’avvocato Antonella Liberatori, sempre attiva nelle cause in difesa delle donne. corriere.it