Veroli, si trasferisce in Giappone Giovanni Fraja alla conquista del Sol Levante
Lascia Veroli e si trasferisce in Giappone. Giovanni Fraja, figlio del caro Bruno Fraja, racconta le antiche tradizioni e la modernità del Sol levante, l’emergenza sanitaria e il piano vaccinale, le sue giornate a Tokyo tra lavoro e tempo libero, la cucina nipponica.
Conosciamo Giovanni.
«Sono nato ad Alatri (FR) ma cresciuto a Veroli. Ho frequentato la facoltà di Studi Orientali all’università di Roma, La Sapienza, dove mi sono specializzato nello studio della lingua Giapponese».
Da quanto tempo si è trasferito a Tokyo?
«Mi sono trasferito nel 2015, vivo in questa città da quasi sei anni e sono impiegato presso IBM».
Aspetti positivi e negativi della vita in Giappone?
«La vita in Giappone presenta parecchi aspetti positivi: le città sono pulite ed i trasporti pubblici sono impeccabili. Le strade sono sicure, il tasso di criminalità è molto basso e lo staff delle attività commerciali è estremamente cortese. Il cibo è molto buono, anche se personalmente la dieta mediterranea è imbattibile. Esistono anche lati negativi ovviamente: la lingua Inglese non è diffusa ad un livello accettabile e una certa conoscenza della lingua giapponese è necessaria per quasi tutte le attività burocratiche. Per quanto i giapponesi siano cortesi nella sfera pubblica, nel privato possono sembrare freddi e difficili da decifrare dal punto di vista di un Italiano. Sfortunatamente, la società giapponese è famigerata per avere una visione insulare (se non razzista) riguardo culture diverse, specialmente Asiatiche. Una buona dose di sessismo è anche presente e, purtroppo, miglioramenti su questo punto di vista sono lenti e sporadici».
Dall’Occidente all’esterno Oriente, come è stato l’inserimento nella società giapponese?
«L’inserimento è stato piuttosto drammatico. Non avevo una grande esperienza pratica con la lingua ed anche chiedere informazioni ai passanti era un problema, visto che l’Inglese è parlato da pochi. Imparare a districarsi nel labirinto di treni è stata una sfida ed è facile perdersi in una città enorme come Tokyo».
La cucina?
«Abituarsi ad una cucina a base di riso in bianco e zuppa di miso non è stato facile! Eventualmente, si impara ad allinearsi alla routine frenetica di Tokyo ed a godere di tutti i numerosi servizi che offre. Dopo un po’ non si può fare a meno della convenienza dei cosiddetti “conbini” (convenience store, aperti 24/7), dove si possono pagare le tasse, stampare documenti, compare biglietti per i concerti e tutta una serie di prodotti necessari per la vita quotidiana».
Il Giappone come sta affrontando l’emergenza sanitaria?
«Ha introdotto due stati di emergenza dal 2020, i quali forniscono poteri special ai governatori delle prefetture (come Tokyo) per imporre determinate restrizioni agli orari di apertura e chiusura di alcune attività commerciali come ristoranti, bar, pub. Queste attività commerciali sono considerate le più a rischio per quanto riguarda la trasmissione del COVID-19. Inoltre sono stati installate protezioni di plastica in quasi tutti i luoghi pubblici al chiuso per incoraggiare il social distancing e gli interni degli edifici sono sterilizzati continuamente con il disinfettante dallo staff».
Distanziamento e mascherine?
«Per via della Costituzione giapponese, non è possibile per il governo obbligare i cittadini ad indossare maschere in pubblico o a rimanere in casa, quindi per il giapponese medio la routine giornaliera non è cambiata di molto. Ben prima della pandemia, i giapponesi erano già abituati ad indossare maschere in pubblico e, per via della loro cultura, evitano contatti fisici. Per questo motivo e per la loro naturale diligenza nel seguire i consigli del governo, il numero di casi in Giappone è relativamente basso, considerata la popolazione nazionale (440,000 casi su 120 milioni di abitanti)».
Quale vaccino viene somministrato?
«Il vaccino che gli ospedali stanno attualmente utilizzando è il Pfizer. Ma è arrivato in Giappone recentemente, quindi solo lo staff medico sta ricevendo il vaccino».
Particolari iniziative per commemorare le vittime di Fukushima a 10 anni dalla catastrofe?
«L’NHK, la società che gestisce la televisione pubblica giapponese, ha trasmesso un lungo documentario per un paio di giorni sulla tragedia del terremoto di 10 anni fa. Le prefetture che sono state più colpite dal sisma, Fukushima, Miyagi e Iwate, hanno osservato un minuto di silenzio in rispetto dei deceduti».
Le manca l’Italia?
«Mi mancano alcuni aspetti dell’Italia, sì. Il cibo prima di tutto, l’atteggiamento caloroso degli Italiani e ovviamente la mia famiglia».
Tornerà presto?
«Con la pandemia in corso è difficile da dire, c’è il rischio che non possa tornare in Giappone se non dopo avermi sottoposto ad una seria di controlli medici. Possibilmente quest’anno, magari in estate, se le cose si sono calmate sufficientemente».
Un saluto ai suoi compaesani in giapponesi?
«またね!(Trad. Arrivederci!)»